Nelle sale The Martian. Ridley Scott alle prese con l'ultima frontiera

di Emiliano Baglio 13/10/2015 ARTE E SPETTACOLO
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In seguito ad una violenta tempesta di sabbia l’astronauta Mark Watney (Matt Damon), creduto morto, viene abbandonato dall’equipaggio dell’Ares 3 su Marte. Rimasto solo Mark deve capire come sopravvivere sul pianeta, come comunicare con la terra e come tornare a casa.

Ancora una volta il cinema americano ci racconta il vecchio e mai tramontato mito della frontiera, la lotta dell’uomo contro la natura avversa ed il destino. Come i cowboy dei tempi andati anche Mark è un colonizzatore. Non conquista terre nuove, ma semplicemente le sottomette all’ingegno umano, le rende fertili e ci coltiva patate, perché oggi conquistare, soprattutto se si è su Marte, vuol dire riuscire a fare questo, produrre cibo ed acqua laddove non ce n’è.

Mark non è però un avventuriero del vecchio west, non è un uomo comune che si scopra capace di fare cose eccezionali e che spinge le proprie capacità al limite, non è il Tom Hanks di Cast away novello Robinson che sopravvive alla bella e meglio su di un isola. Mark è un astronauta ed un botanico, ha tutte le conoscenze necessarie per sopravvivere su di un pianeta ostile. Ogni volta che si presenta un problema lui non si affida a soluzioni improvvisate; si guarda attorno, vede quello che ha e studia un metodo scientifico che gli permetta di continuare a vivere sfruttando i pochi mezzi a disposizione, tira giù schemi e diagrammi, si affida alla ragione, insomma è un nerd che ha passato metà della sua vita sui libri, privo di una vera vita sociale tant’è che sulla Terra non c’è praticamente nessuno che lo aspetti se non i suoi genitori (che tra l’altro nel film non si vedono mai) ed il destino che lo aspetta non può essere altro che quello di diventare professore della Nasa.

Dall’altra parte, sulla Terra, quando finalmente riesce a comunicarci, non ci sono politici corrotti, non ci sono i classici cattivi che guardano al loro interesse personale e si disinteressano di lui. C’è gente che come lui cerca una soluzione ragionevole, che sfrutta le proprie conoscenze per trovare una via di uscita, che si trova di fronte a dilemmi laceranti quando si tratta di scegliere cosa fare. Ci sono altri nerd che improvvisamente vengono folgorati da un’intuizione e finalmente capiscono cosa si può fare e con calma si mettono a studiare se quell’intuizione è vera oppure no.

Il nuovo film di Ridley Scott è quanto di più lontano si possa immaginare dai luoghi comuni tipici del blockbuster. Il regista ci presenta un eroe che non è per nulla tale perché ha tutti i mezzi per poter sopravvivere. Lo lascia per metà del film solo negli splendidi scenari di Marte (in realtà la Giordania) a risolvere formule, a riparare componenti, a riciclare pezzi di astronave, a razionare il cibo, a pulire pannelli solari, a piantare patate. Gli mette attorno dei comprimari assolutamente credibili, lontani dagli stereotipi del genere. Dite la verità, pensereste mai che sia possibile appassionarsi ad un film così?

Non contento condisce il tutto con quintali di retorica perché lui è Ridley Scott e sa bene che gli Americani sono il bene assoluto su questa Terra e quando  si tratta di trovare un alleato che li aiuti a risolvere i problemi invece di metterci i Russi, come sarebbe accaduto in qualsiasi film sino a qualche anno fa, conscio della rinnovata situazione geopolitica, decide che i nuovi alleati del grande impero non possono che essere i cinesi.

Inutile dire come finirà l’odissea di Mark. Sin dal momento in cui entriamo nel cinema sappiamo bene che questa storia dovrà per forza avere un lieto  fine.

Ed allora direte voi, com’è possibile che The Martian ci tenga incollati alla poltrona dall’inizio alla fine? In fondo è solo la storia di un nerd circondato da persone che si comportano finalmente con coerenza, tra quintali di retorica e qualche scivolone di troppo (la scena in cui l’astrodinamico Rich spiega al capo della Nasa come recuperare Mark). È la vicenda di un uomo che passa metà del tempo a studiare soluzioni logiche in mezzo al nulla senza che succeda praticamente niente in attesa di un finale già scritto.

Forse la forza di The Martian sta proprio qui, nel suo rovesciare le aspettative del pubblico affidandosi ad uno scienziato invece che ad un avventuriero, dandogli il volto rassicurante di Matt Damon. Forse la scelta vincente è quella di disegnare personaggi credibili che non agiscono d’istinto, che non si lanciano in atti eroici, che non fanno sciocchezze ma che ragionano, lavorano e sudano per trovare soluzioni realistiche a problemi insormontabili. Persino la colonna sonora a base di disco music ed Abba ha un che di spiazzante e geniale.

Oppure più semplicemente il fatto è che dietro la macchina da presa c’è un Ridley Scott tornato in piena forma, uno che macina cinema da una vita, un regista capace di costruire una tensione perfetta anche e soprattutto quando, apparentemente, non succede nulla. The Martian è un film che tiene incollati allo schermo e non perché si aspetti di sapere come va a finire ma perché costantemente ci chiediamo come i protagonisti risolveranno il nuovo problema, come supereranno i continui ostacoli, come potremo mai arrivare allo scontato lieto finale quando la speranza si affievolisce sempre più.

Il punto è che tutti questi ingredienti messi insieme alla fine hanno dato vita ad un film bellissimo, con una tensione continua che ci restituisce la magia del cinema che riesce a dare il meglio di sé e che ci fa ben sperare per i progetti futuri di Ridley Scott. Che ci fa sognare come Mark in mezzo al nulla seduto su di un deserto rosso a guardare un cielo alieno pieno di mistero, di magia e di bellezza.

 


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